Tra le quinte del cinematografo
Cinema, cultura e società in Italia 1900-1937

di Massimo Cardillo

L’industria di celluloide
Gozzano e il cinematografo

Tu m'hai amato. Nei begli occhi fermi
luceva una blandizie femminina;
tu civettavi con sottili schermi,
tu volevi piacermi, signorina...

Rapporti fra Guido Gozzano e il cinema ce ne sono sicuramente stati, ma di che natura? Di quale entità e consistenza? Vero interesse? Curiosità superficiale? Esigenze economiche? Qualche sua lettera, un articolo, una testimonianza del fratello Renato, un soggetto per un film da fare e mai realizzato su San Francesco...
Nel 1910 in una conversazione con l'amico Carlo Casella, Gozzano rivela di essersi ormai deciso “per una forma tanto popolare come il cinematografo”. Denaro? No di certo assicura scandalizzato Guido! Come si può pensare una cosa simile di un letterato, di un poeta che non aveva voluto sinora nemmeno collaborare - per preservare ogni sua intuizione e ispirazione letteraria - con alcuni grandi giornali che pure lo avrebbero pagato lautamente (obbligandolo però ad apporre, a differenza del cinematografo, la sua firma in calce agli articoli ... ).
L'arte e le lusinghe pecuniarie!
Gozzano confessa di essersi deciso al gran passo spinto “dalla prolissità del dialogo e della scena”: meglio “il nastro prodigioso”.
Il poeta cadrà in contraddizione più volte parlando e discutendo di cinema e di arte, al nastro prodigioso non risparmierà certo acute e pungenti frecciate anche se il fratello Renato è pronto a rassicurarci: “Ironie, le affettuose ed eleganti ironie dell'amante deluso”. Vada per il “deluso” (anche per tutta una serie di validi motivi), ma “affettuose” proprio no!
“Si sarebbe potuto fare di più e di meglio in quegli anni... Troppa presunzione, troppa volgarità, troppo commercio... amavo il cinematografo, ma ero ferito, disgustato. Il commercio! Li ho ancora negli occhi e nelle orecchie quegli orribili métteurs improvvisati. Amavo la tenuità, la delicatezza ... ”.
Se dobbiamo continuare a prestar fede a Carlo Casella, Gozzano, durante la conversazione confessa di aver ridotto per il cinematografo alcune sue novelle, quasi fiabe. Rivendica l'originalità e la paternità dell'operazione che sembra stargli molto a cuore visto che “è cosa che ho fatta con grande amore e grande diletto, e ogni pellicola col suo quadro favoloso e il suo commento in versi, mi è cara come un mio lavoro letterario, e non esiterò a firmarla e a tutelarla come i miei volumi di prosa e di poesia”1.
Entusiasmo sincero? Paradiso delle buone intenzioni? In realtà questa benedetta firma non appare mai, ma, come abbiamo già supposto, e altri prima di noi il cinema paga bene e permette di conservare l'anonimato. Ragion per cui, tolto il progetto sul San Francesco (Prima orditura fotogrammatica di Guido Gozzano), non c'è nulla che gli si possa attribuire con certezza. Nemmeno il documentario La vita delle farfalle che nel 1911
vinse il primo premio per la cinematografia scientifica (più 5000 lire – una bell sommetta in quegli anni – da parte del Ministero della Pubblica Istruzione), almeno stando alle parole di suo cugino, il famoso operatore Roberto Omegna: “Si interessò ai miei film scientifici e ricordo che fu lui stesso a portarmi nello studio dei bruchi per i film sulle farfalle. Fu spesso nei nostri ambienti ma escludo che, come è stato detto, abbia avuto da Ambrosio incarichi di consulenza artistica”2). Il mistero si infittisce. Il film fu comunque realizzato in Val D'Ayas dove venne studiata e riprodotta in tutte le sue forme la vita del “Parnassius Apollo”. Quale sia stato l'effettivo contributo del Poeta alla realizzazione del film, resta il fatto che da sempre le farfalle, il loro volteggiare, la loro impalpabile leggerezza, hanno affascinato Guido che addirittura vagheggia un poema su di loro. Nel marzo del l912 pubblica infatti su la “Lettura” una poesia: L'amico delle crisalidi3, mentre quattro anni dopo sul '“Illustrazione Italiana” è la volta della Messaggera marzolina.
Nonostante queste prove dell'interesse vivo e partecipe di Gozzano nei confronti della vita delle farfalle, restano tutte da dimostrare le sicure e apodittiche affermazioni di Mario Gromo: “( ... ) gli balena il progetto di un film che riproduca tutte le fasi di una di quelle vite delicatissime e misteriose; ne scrive rapidamente le didscalie, le propone all'Ambrosio, che gli concede uno dei suoi migliori collaboratori, l'Omegna (Ö). Il Gozzano accettato di far parte dell’Ufficio soggetti dell'Ambrosio, fornisce parecchi spunti e parecchie trame”4.
Insomma, Gozzano confessa all'amico Casella di essersi deciso al gran passo (per una forma tanto popolare come il cinematografo”) proprio perché quest'ultimo “è giunto in buon punto per realizzare e semplificare il mio sogno”; sembra esserne tanto entusiasta da parlare addirittura, come si è visto, di riconoscimenti di paternità. Ebbene, soltanto dopo qualche mese, in una lettera indirizzata a Salvator Gotta (26 settembre 1911), l'entusiasmo e la stima nei confronti del cinematografo sembrano essersi parecchio raffreddati (uno dei tanti cambi di umore dell'amante deluso?): “Sono a Torino da vari giorni per mettere in scena la Statua di Carne, le Appendici di Zévaco e altre simili delizie. Coloro - e sono molti - che godono di vedere i poeti e la poesia profanati, possono esultare... ma anche di questo vilipendio scriverò forse un libro spaventoso”.Ma, ad una riflessione più attenta, la contraddizione risulta essere solamente apparente: è l'uso che viene fatto del nuovo mezzo “la proiezione muta ch'è eloquente ad un tempo” ad intristire e ad indispettire Guido che, chissà, si sarà pure visto costretto (quanto a denaro in quegli anni non se la passava proprio bene) ad accettare qualche incarico non proprio esaltante per una persona come lui “in fama di lavoratore serio e sdegnoso”.
Cosa aveva infatti sottolineato nella sua conversazione col Casella? “E tempo ormai di opporsi alla volgarità che ha invaso il cinematografo e vi trionfa in modo nauseante. Speculatori indegni cercano di attirare il pubblico medio col truce, col laido, con il grottesco. E quello che dovrebbe essere il mezzo più economico ed immediato per educare le masse, per infondere un fine senso estetico e morale, diventa una speculazione abbietta, atta a tormentare le più basse tendenze della folla ... ”.
E’ tempo di opporsi: sarebbe bastato scrivere un libro “spaventoso”? E proprio di queste cose avrebbe voluto scrivere il Poeta?
Intanto la salute non buona peggiora rapidamente. Dal dicembre dal 1912 al maggio del '13 compie un viaggio in India. Con la speranza di luce e salute negli occhi abbandona la sua cara Torino.

“Un po' vecchietta, provinciale, fresca
tuttavia d'un tal garbo parigino,
in te ritrovo me stesso bambino,
ritrovo la mia grazia fanciullesca
e mi sei cara come la fantesca
che m'ha veduto nascere, o Torino...”

Il lungo viaggio non ottiene i risultati sperati. Guido ritorna nella sua città stanco, deluso e ammalato. Interessi mistici si fanno sempre più strada nel suo animo e nella sua sensibilità artistica. Quanto lontana l'epoca degli amori ancillari... il fanciullesco ricordo della bella cocotte...
Comincia a vivere anche lui il suo personale e definitivo “addio alla giovinezza”:

“... Quest' effigie! Mia?...
e fissa a lungo la fotografia
di quel sé stesso già così lontano.
Un po' malato ....frivolo... mondano....
Sì mi ricordo ... Che malinconia!... ”.

Gli balena, improvvisa, non sappiamo quanto, l'idea di un suo film su San Francesco d'Assisi. Comincia a studiare con l'amico Zanzi la figura e l'opera del Santo addirittura “con una passione da catecumeno”5.
Studia e annota i Fioretti, lo Specchio di perfezione, medita sugli scritti di Jacopo da Voragine e del Celanese, trascorre ore ed ore nella Real Galleria dinanzi al quadro di Macrino d'Alba, quello che mostra il miracolo delle stigmate. Nei primi mesi del '16 chiede una serie di consigli a Padre Corrado Giulio Aleyson. Alla fine di aprile il lavoro è ultimato: San Francesco d'Assisi. Prima orditura fotogrammatica di Guido Gozzano. Ha preso già contatti con case cinematografiche, è ottimista. Il diciassette aprile scrive al fratello Renato: “Carissimo Renato, si deve decidere in settimana il film su San Francesco e in tal caso sarei impegnato a presenziare per una ventina di giorni l'esecuzione, quasi tutta ad Assisi. Non so se sarà commerciabilmente fortunato, ma come opera d'arte comincia ad appassionarmi. Vedrai che il libretto non è male... forse Ruggeri come protagonista ... ”.
Non immagina certo che la morte lo attende di lì a quattro mesi6.


Parlando di cinema con Guido Gozzano ( ... intervista allo sceneggiatore del S. Francesco)

A proposito del cinematografo lei ha parlato spesso di arte. Nella lettera che ha, scritto il 18 aprile 1916 a suo fratello Renato, parlando del San Francesco lo ha pressoché definito opera artistica. In altre occasioni è apparso però meno sicuro. Allora: arte o no?
Ma che arte... è una industria di celluloide. E’ una cortigiana molto ricca che sa camuffarsi, ma l'imitazione della principessa resta pur sempre una imitazione. 1 suoi antenati non sono altro che la lacrimevole istoria di Genoveffa, di Rosina, del Bersagliere infedele. Arte da piazze e mercati, da rettangolo di tela dipinta...
Se facciamo tacere in noi l'affarista e consultiamo soltanto la nostra intima coscienza d'artisti, bisogna convenire che la nostra produzione cinematografica - gloria del mercato - non è altro che una delle nostre vergogne artistiche.

Ma non è stato lei a definire una volta il cinematografo “il nastro prodigioso?”
Il cinema, non l'industria. Per ora pellicola ed arte sono divise, inconciliabili sino all'ultima molecola. Bisognerà vedere la sua futura evoluzione. Ci vorranno anni prima che la parabola sia chiusa.

Come mai continua allora a dimostrare una così buona salute?
Tutto gli è stato dato, tutto gli si dà in alimento quotidiano: bellezza, grazia, valentìa di attori e di attrici, ingegno di autori, di pittori, di musicisti, scenari storici offerti dai monumenti nostri più illustri o dalle città più gloriose, panorami incantevoli, arte, luce: tutte cose che noi soltanto possiamo dare, più di tutti, meglio di tutti, senza esaurirci mai...

Il cinematografo finirà quindi per soppiantare definitivamente il teatro nei gusti del pubblico?
La tentazione del cinematografo è del tutto passeggera nell'abituale frequentatore della sala teatrale. Si tratta, in fondo, di due categorie ben distinte: la folla plebea che stipa il cinema non è sottratta al teatro.

Ovvero?
Non va a teatro perché non lo comprenderebbe, si annoierebbe. La pellicola figurata invece condensa in minimo spazio, in minimo tempo, con minima spesa e senza nessuno sforzo psicologico ed intellettuale, un diletto visivo che è pur sempre superiore alla bettola e al café chantant.

Mi sembra francamente un po' troppo cattivo: tutta qui l'utilità del cinematografo?
Oh, no! In fondo tre quarti del pubblico conosce i grandi capolavori drammatici e letterari attraverso la pellicola e senza la pellicola non li avrebbe conosciuti mai, nemmeno di nome. E’ una conoscenza approssimativa ma è pur già qualche cosa. E’ una funzione, diciamo così, propedeutica, una conoscenza “di vista” che dissoda il terreno per la cultura a venire.

A me pare che per una sorta di malcelato amore-odio, ogni volta che parla del cinematografo lei cada in palesi contraddizioni: non ha affermato da qualche parte che “tra le industrie il cinema è quella che più si sforza di fare dell'estetica e che raggiunge, qualche volta, un attimo fugace di vera bellezza?”.
Ma ho anche detto che non sarà mai arte. La tecnica è oramai giunta a tale perfezione da provocare molto spesso genuina ammirazione. Se poi è vero che ogni paesaggio è uno stato d'animo, allora la film fa della psicologia meravigliosa. Ma la mimica resterà sempre mimica e il gesto più eloquente non avrà mai il valore d'un grido, d'una sillaba, d'un sospiro”.

Lei rivaluta la parola, ma qualche anno fa parlava con entusiasmo della “proiezione muta ch’è eloquente ad un tempo”. Continuano le contraddizioni. Basta, andiamo oltre. Lei, Gozzano, va mai al cinema?
Talvolta. Ci sono serate vuote, quando si consulta invano la lista dei teatri, dove non c'è cosa che valga tre ore consecutive... sere negate al cervello, all'arte. E si pensa allora ad una cosa leggera, non faticosa che non sia il teatro, che sia un pochino di più del caffé; e allora il cinematografo offre questo quid medium...

Siamo alle solite...
... Senza contare che con l'importo di una consumazione andate in Cina per l'incoronazione dell'Imperatrice o passate nell'Africa Centrale per le cacce di Roosevelt, la cronistoria settimanale più eloquente di dieci quotidiani....7.
NOTE

1 “Ho ridotto per cinematografo i temi più originali del mio volume di novelle: fiabe, ripeto, per grandi e per piccoli, sceneggiate con grande sintesi di trama e scaltrezza di effetti. 1 soggetti sono di mia completa invenzione; ogni episodio sarà alternato da pochi versi semplici e concisi, a commento della vicenda che segue”. In un articolo su Guido Gozzano e la cinematografia (“B.N.”, ottobre 1938) MARIA ADRIANA PROLO fa delle considerazioni piuttosto probanti proprio su queste dichiarazioni del Poeta al Casella: “Nel numero 1 luglio 1911 della "La vita cinematografica" compare quest'annuncio: “La Ditta Ambrosio, fedele ai suoi ideali di ascesa artistica, all'interpretazione di quanto c'è di grandioso e d'interessante nella scienza, nella storia, nell'arte, aggiunge ora una nuova serie di film delicatamente poetica. Ogni episodio sarà alternato con pochi versi semplici e concisi per commentare la vicenda che segue e gli argomenti saranno tali da interessare grandi e piccoli”.
Non sono quasi le stesse parole di Guido Gozzano? E quindi anche possibile che La storia commovente di Piccolino, il minuscolo eroe randagio per il mondo, di cui l'avviso pubblicitario della Ditta Ambrosio riporta i distici di commento ad ogni episodio, sia del Poeta. Basta infatti confrontare questi con la canzone di Piccolino pubblicata nel V volume delle Opere uscito di recente:


1
La vicina lo conforta
Gino piange. Mamma è morta!
2
Con il misero fardello
va pel mondo l'orfanello.
3
“Come vivere non so
ma un mestiere imparerò!”
4
Si presenta al contadino:
“No! Sei troppo piccolino!”
5
Al mugnaio si presenta:
“La tua età non si contenta!”
Piccolino, morta mamma,
non ha più di che campare
resta solo con la fiamma
del deserto focolare:
poi le poche robe aduna,
mette l'abito più bello
per venirsene in città.
Invocando la fortuna
con il misero fardello
Piccolino se ne va.
E cammina tutto il giorno
si presenta ad un padrone
“Buon fornaio, al vostro forno,
accoglietemi garzone”.
Ma il fornaio con la moglie
ride, ride trasognato:
“Piccolino in verità
il mio forno non accoglie
un garzone appena nato!
Non sei quello che mi va”.

2 L'ultima intervista di Omegna, a cura di Mario Verdone (“Cinema”, 15-12-1948), in VIRGILIO TOSI, Il pioniere Roberto Omegna, “Bianco e Nero”, n. 3, 1979.

3 L'amico delle crisalidi:

“Una crisalide svelta e sottile
quasi monile
pende sospesa dalla cimasa
della mia casa.

Salgo talora sull'abbaino
per contemplarla
e guardo e interrogo quell'esserino
che non mi parla:

O prigioniero delle tue bende
pendulo e solo
soffri? il tuo cuore sente che attende
l'ora del volo?

Tu ti profili dal tetto antico
sui cieli pallidi...
No, non temere: sono l'amico
delle crisalidi!

No, non temere l'orride stragi
care una volta:
mi dan rimorso gli anni malvagi
della raccolta.

Papili Arginnidi Vanesse Pieridi
Satiri Esperidi
contemplo triste con la mia musa
la tomba chiusa.

Dormono in pace tutte le morte
sotto il cristallo
fra tutte domina la sfinge forte
dal teschio giallo.

O prigioniero delle tue bende
pendulo e solo
soffri? Il tuo cuore sente che attende
l'ora del volo?

Ti riconosco. Profilo aguzzo,
dorso crostaceo,
irto, brunito, con qualche spruzzo
madreperlaceo:

sei la crisalide d'una Vanessa:
la Policlora
che vola a maggio. Maggio s'appressa,
tra poco è l'ora!

Tra poco l'ospite della mia casa
sarà lontana;
penderà vóta dalla cimasa
la spoglia vana.
Andrai perfetta dove ti porta
l'alba fiorita
e sarà come tu fossi morta
per altra vita.

L'ale! Sì muoia, pur che morendo,
segno mortale,
s'appaghi alfin questo tremendo
sforzo dell'ale!

L'ale! Sull'ale l'uomo sopito,
sopravvissuto
attinga i cieli dell'Infinito,
dell'Assoluto...

E tu che canti fisso nel sole,
mio cuore ansante,
e tu non credi quelle parole
che disse Dante?”.


4 MARIO GROMO, Guido Gozzano Cineasta, in “La Stampa”, 24-5-1932.

5 E. ZANZI, Guido Gozzano poeta del film, in “Gazzetta del Popolo”, 26-4-1927.

6 Altre notizie sul film le desumiamo dal saggio di Aldo Bernardini I film francescani del cinema muto italiano, in San Francesco d'Assisi nel cinema. Dal muto al sonoro, Assisi 1982, a cura di Domenico Meccoli. Le notizie di Aldo Bernardini sono a loro volta desunte da un “conto preventivo” del 18 aprile 1916: il film è chiamato La vita di San Francesco d'Assisi, “un grandioso film religioso musicato”. Per la sua realizzazione la Gladiator aveva dato l'avvio nella primavera del 1916 alla “costituzione di un capitale di lire 50 mila” prevedendo “un interesse mondiale, non solo per l'attuale pubblico dei cinematografi, ma anche per quello ben più numeroso dei cristiani di tutto il mondo; e potendo ottenere che tale trattenimento pel suo carattere religioso e di musica sacra si possa svolgere nelle chiese, si avrà senza spesa, la migliore e la più diffusa delle réclames, quali solo nella grande Famiglia Ecclesiastica si può ottenere a mezzo delle missioni, dei bollettini ... ”. Il commento musicale avrebbe dovuto essere affidato al Maestro don Giocondo Fino (autore dello spartito per il Christus di Antmoro), mentre il cav. Cussetti si sarebbe dovuto occupare della scenografia.

7 L'intervista è un libero rimaneggiamento di un articolo scritto da Gozzano nel 1916 per la rivista “La donna”, Il nastro di celluloide e i serpi di Lacoonte. Sui rapporti fra Guido Gozzano e il Cinema una testimonianza importante è quella di Arrigo Frusta: “( ... ) Dall'anno 1908 e fino al 1915, salvo brevi interruzioni, fui a capo dell'Ufficio dei soggetti della Società Ambrosio. Ch'io ne fossi il titolare e il responsabile me lo solfeggiò alto e basso il P.M. nel famoso processo del "Pianoforte silenzioso" ( ). Ma di lì a non molto tempo anche i più avversi e riottosi scrittori si sentirono attratti dal luccichìo della pellicola. Fra gli altri Guido Gozzano. Fu nel 191 l. Ce lo presentò l'amministratore generale Alfredo Gandolfi. (...) Dal 1911 al 1913 altre volte lo vedemmo. Assisteva alle riprese, avvicinava le belle attrici ( ). Sul principio, ogni tanto, mi portava degli schemi di soggetti. Ma non è irriverenza asserire che tra la cinematografia e lui non ci fu il miglior accordo del mondo ( ). A poco a poco diradò le visite; nel mio scrittoio non entrava quasi mai; dopo il 1913 non lo vedemmo più. Insomma, a mio ricordo, l'opera del poeta cineasta si ridusse a ben poca cosa: a un soggetto di 130 metri, La Storia di Piccolino, girato dal Vitrotti nel 1911. Né mai si parlò all'Ambrosio, di Suonatori di flauto, di Statue di carne, di appendici di Zevaco, nemmeno come progetti. Né di Refale ridotte. In quanto alla Vita delle farfalle (metri 250) girata "sotto la direzione di Gozzano" (F. Portile,1939), Roberto Omegna non dichiarò mai tale collaborazione. E i due mesi di lavoro in Val d'Ayas, a riprendere la vita del Parnassus Apollo (Gromo, 1932) forse si ridussero, meno poeticamente, ai quattro giri di manovella che l'Omegna, ogni giorno, non mancava di dare alla macchina da presa, che teneva sotto chiave in uno stambungino segreto (Ö). La prova della mia asserzione è che la Società Ambrosio, quando vinse con Le Nozze d'oro e La Vita delle farfalle il gran concorso internazionale del 1911, donò a Omegna, a
Luigi Maggi e a me una bella medaglia d'oro. Nessune seppe mai che pure il Gozzano l'avesse ricevuta (Ö)”. (ARRIGO FRUSTA, La leggenda di Guido Gozzano cineasta, in “Bianco e Nero”, n. X, 1956).