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BRIANZE - Il Ritorno

Come Django, Brianze è tornato!

Non più nella veste di periodico trimestrale
ma come foglio leggero, occasionale.

Lo potete scaricare qui e trovare in giro sotto forma di cartolina postale.

Amiamo la carta, l'inchiostro: il web non ci bastava.

Con questo Foglio inauguriamo una collana di numeri monotematici, sempre legati al territorio: in questo caso protagonista sarà il Lambro, fiume simbolo della Brianza, minacciato non solo dagli inquinatori ma anche dai suoi sedicenti difensori…

gennaio 2013


Paolo Pirola
Presidente Associazione Culturale BRIANZE

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Case a Carate (1942)

Il Lambro è (era) un’opera d’arte

Lettera aperta al Presidente del Parco della ex-Valle dell' ex-fiume Lambro

di Carlo Annoni

quadri di Raffaele De Grada

Il Lambro è (era) un’opera d’arte, come tutta l’Italia, del resto, almeno fino a quando si riuscì a mantenere un certo equilibrio tra popolazione e territorio e fra industria e agricoltura. Detto molto all’ingrosso, naturalmente: resta peraltro vero che ancora oggi, visitando l’Italia centrale, è possibile incontrare, senza troppa fatica, gli stessi paesaggi che stanno sullo sfondo dei quadri dei primitivi senesi o di Piero della Francesca o del giovane Raffaello (ma bisogna affrettarsi, perché il tempo sta scadendo). Del resto, e di nuovo procedendo con i proverbiali stivali delle sette leghe, tutta l’Italia, a partire dalla civilizzazione romana, e scendendo nei secoli cristiani, fino all’altro ieri costituiva nel suo insieme un paesaggio-opera d’arte, nel valore nobile che l’esistente era tutto o quasi lavorato dall’uomo, con perfetta integrazione tra opere artistiche in senso proprio, e opere pratiche, di mani analoghe, nell’universo operaio, artigiano e contadino.

Lambro a Carate (1942)

In Italia, come noto, è sostanzialmente scomparsa ben presto l’idea della natura selvaggia, magari splendida, ma paurosa, nel suo essere totalmente estranea all’uomo; era un’esperienza che si faceva, e così appare testimoniata, valicando le Alpi e addentrandosi nell’Europa, fino a salire all’immenso Nord prima forestale e infine glaciale. Il mio quadro è imprecisissimo nei particolari, ovviamente, ma esatto nelle linee generali. Il Lambro fa parte (faceva parte) di tale descrizione del paesaggio-opera d’arte: da età immemorabile prodotto di mediazione fra una condizione naturale e continui interventi di artificializzazione (umanizzazione direi, più esattamente; e ognuno provi poi a sostituire la parola “artificiale”, sinonimo del brutto, con la parola che nasce dalla medesima etimologia. Si dica “artefattuale”, allora, fatto con arte; e la musica cambierà immediatamente).

Ponticello sul lambro

Possiamo pensare all’uso più primitivo del fiume quale guado, in particolari località, per uomini e animali, sostituito ben presto dal ponte (e il lettore guardi subito alla nobilissima parola: pontefice, colui che sceglie il luogo e presiede alla fabbrica del ponte. Anche la religio pagana, è noto, voleva propiziarsi, rendersi benigne le forze della natura). Il Lambro era poi una fonte inesauribile d’acqua per ogni forma di vita: è sufficiente pensare, rapidamente, alle tante opere idrauliche messe in opera, almeno nei due millenni ripercorribili, per dedurre canali di irrigazione. Se il corso d’acqua serviva sempre alla piccola e media navigazione, la fauna ittica e quella riparia offrivano poi nutrimento (ce n’è testimonianza quanta se ne vuole dagli scritti dal basso Medioevo almeno fino al 1700 e oltre). Si può pensare, per finire, all’eleganza e alla necessità dei tanti mulini, ma poi spingersi fin nel cuore della civiltà industriale con il mutamento d’uso delle rogge molinare in canali di alimentazione per produrre elettricità dai sistemi di turbine che ogni stabilimento possedeva.

Lambro (1937)

Oggi il Lambro è una fogna; non solo: tutte le sponde e il complesso sistema che dalle sponde si allarga è in stato di perfetta devastazione. Direi che il Lambro, attualmente, non sia un fiume, ma piuttosto un fiume del tempo che fu, un ex-fiume, ul poor Lamber, il povero Lambro, come si dice dei morti. Se si preferisce, si può però anche parlare di post-fiume, di fiume del post-moderno che andrebbe bene in qualche film apocalittico di quelli che rappresentano la terra dopo la quarta guerra mondiale, la guerra che si è combattuta con le clave e con i sassi. In condizioni analoghe si trova, per par condicio, anche la valle, soffocata da una massiccia speculazione edilizia, al punto che un fondamentalista, ed io lo sono, direbbe che ogni nuovo mattone è un atto criminale.
Sinteticamente, rappresenterebbe bene il mio pensiero, una nuova intitolazione per l’Ente Parco; la seguente: Parco (si dice per dire) dell’ex-valle dell’ex-fiume Lambro.


Lambro (1942)

Nonostante tutto, io spero molto nella nuova presidenza, quella dell’avvocato Eleonora Frigerio. Non so se si tratti di un politico ciellino, ma avrei comunque caro che, nel suo nuovo incarico, venisse da lei adottato, ma non per gettare fumo negli occhi, uno dei motti-bandiera di CL, la frase di Dostoevskij che dice: «La bellezza salverà il mondo». Lo scrittore citava naturalmente il testo della fede cristiana, la Bibbia, e in particolare il Genesi, dove il Creatore contempla la Creazione, affermando, secondo la pagina sacra: «E vide che era bello». Non tocca a me spiegarle, beninteso, che “bello” significa contemporaneamente “buono” e che bellezza e bontà congiunte sono due attributi del nome di Dio.
Gentile signora - mi permetta di rivolgermi direttamente a lei - il suo leader politico regionale, Roberto Formigoni, ha poi ripetutamente affermato dai vertici dell’EXPO, dove continua a trovarsi, che questi sono gli anni dell’acqua. Che impegno per lei! Un impegno politico, ma anche direttamente religioso (sempre che voglia accettare tutto quello che si deve dedurre dall’espressione più volte citata in questo pezzo; e che ripeto, perché impegna tutti: «La bellezza salverà il mondo!»).


Agliate (1938)

Mi lasci ora essere un po’ narrativo: pensi, presidente, in questo scorso mese d’agosto, andando a messa ad Agliate e sporgendomi dal parapetto del ponte, vedevo ogni volta un gruppo di cavedani in una pozza scarsa e il contenuto della pozza era, poi, caldo, nero, puzzolente. Siccome quello che osservavo era con esattezza liquame, con qualche traccia, non di più, di linfa accettabile, mi veniva voglia ogni volta di fare un catena di volonterosi per gettare secchi d’acqua chiara, fresca, inodore (abbondante era impossibile: ci vuol altro per far crescere il livello di un corso d’acqua!).
Ogni domenica, mi veniva poi spontanea una domanda, sempre la stessa: chissà se il presidente ha risalito le sponde del fiume, almeno da Carate all’uscita dal lago?
Se l’ha fatto, possiamo ripassare assieme alcune cose viste: in un contesto di disastro generale, lei avrà senz’altro notato che i Depuratori funzionano male, perché non c’è la previa e indispensabile separazione fra acque chiare (piogge, ruscelli, sorgenti e simili) e acque luride (fogne urbane e rifiuti industriali). Le prime devono finire direttamente nel fiume, senza trattamento, perché trattamento non serve; e unicamente le seconde, queste sole, devono essere avviate ai Depuratori e quindi defluire senza alcuna tossicità residua (si scordi, per piacere, la fitodepurazione, che può servire in ambienti piccolissimi e basta; adottata in quel che resta del Lambro verrebbe ricordata come una trovata comica, una presa in giro).


Agliate (1939)

Continuando la nostra rassegna, lei avrà poi senz’altro osservato la quantità di tubi che sporgono su questa deturpata e devastata bellezza/bontà di Dio che è il Lambro di oggi. Alcuni sono attivi e non le sto a dire cosa scaricano, perché se lo immagina (e vanno immediatamente chiusi e il loro contenuto collettato); altri sono residuati osceni e non più produttivi (mi scusi, sarò insistente, ma l’oscenità di nuovo collide con la bellezza/bontà di Dio). Avrà poi constatato che, data la politica di sistematica rottamazione dei fondali, id est l’uso degli stessi in qualità di deposito decennale di inerti, e data la captazione e la deviazione di molta più linfa di quanto tollerabile, la portata del fiume nero è davvero quasi sempre ai minimi (non si può neppure dire storici, dal momento che così il Lambro non è mai stato). E altro, tanto altro potrei aggiungere, ma mi fermo qui, dandole un consiglio prezioso, se crede di accettarlo: ci sono uomini intorno all’Ente Parco, magari con situazioni ufficiali poco significative, ma tra i più preparati quanto alla scienza del fiume e del tutto privi di interesse, cioè interessatissimi, ma solo al ripristino del Lambro.
Il vero problema, questo è il mio punto di vista (e il punto di vista del fiume medesimo, probabilmente, se potesse parlare), è il restauro, dal momento che, in questo caso, il guadagno della bellezza e della bontà stanno nel passato non nel futuro (e men che meno nella prosecuzione del presente o dei metodi che a questo presente hanno condotto. Badi che non intendo fare processi: la colpa è di chi c’era, perché c’era, e di chi non c’era, perché non c’era. Tra questi secondi collochi pure me. L’essenziale è, ovviamente, non perseverare nel porre atti cattivi: lo dico in termini esplicitamente morali).


Termino esprimendo un dispiacere e un rilievo critico nei suoi confronti (d’altra parte lei è una figura pubblica: è dunque un diritto/dovere dei cittadini esprimere con correttezza un parere sui suoi atti istituzionali).
Vengo al fatto: tutti cercano di abolire i consulenti, ma lei, in controtendenza, essendo divenuta anche coordinatrice di Federparchi Lombardia, ha creduto bene, come primo atto di governo dell’Ente (dal momento che i conti dello stesso Ente si trovavano in ordine), di insediare un sig. Fabrizio Figini (uso l’impersonale solo perché non conosco la persona), in qualità di coordinatore con le altre realtà Parco che a lei fanno riferimento. Ritengo che il sig. Figini possa essere, perché no?, il migliore degli uomini possibili, ma trovo bizzarro che venga pagato per un lavoro che toccherebbe a lei medesima, Presidente, fare. Inoltre degli emolumenti, inutili o superflui o evitabili del sig. Figini ha bisogno il Lambro, euro dopo euro. Faccio presente che il predetto riceverà per la durata di cinque anni 25.000 euro lordi su base annuale per cinque anni (circa 18.000 euro netti all’anno).
Concludo con gli auguri, a lei e al Lambro.

Carlo Annoni

PS: ho ricavato i dati descritti da documenti pubblici e liberamente consultabili.


Difesa delle acque, non dalle acque

di Luciano Erba



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