I Promessi Sposi in fotoromanzo

Il Dvd Fotoromanza e’disponibile, fino ad esaurimento copie, presso la cooperativa Arete’, via dei Mulini, 4 - Briosco.
Tel. 0362.95589 (chiedere di Paolo Ronchi).

Il Dvd e’ stato realizzato dall’Isa di Giussano e prodotto da Brianze, con il patrocinio dell’Assessorato al Turismo del Comune di Lecco e dall’Assessorato alla Cultura della Provincia di Como.




Il fotoromanzo è la filiazione diretta, e sotto certi punti di vista povera, del fumetto serio. Forse sarebbe più logico parlare di incrocio tra diversi generi di comunicazione: il cinema (da cui il fotoromanzo ha preso l’immagine ottica) il fumetto ( da cui ha mutuato la segnaletica del dialogo) e il feuilleton o il grande romanzo popolare, da cui almeno in un primo periodo, ha ricavato la struttura degli intrecci, la passione per le puntate e la candida moralità di fondo. La matrice cinematografica del fotoromanzo, meglio, gli apparentamenti tra i generi sono presto spiegati. Nei primi tempi, vale a dire nella seconda metà degli anni Quaranta del secolo scorso, prima di assumere una veste autonoma, il fotoromanzo è stato la semplice traduzione scritta e staticamente visiva dei film di cassetta: per poche lire si acquistavano libricini nei quali Audrey Hepburn e Gregory Peck spiegavano come e dove avrebbero buttato le monete nella fontana. Poteva trattarsi di fotogrammi tratti dal nitrato originale di Vacanze romane, oppure, come spesso accadeva, di foto di scena carpite o di antesignani back stages fotografici più o meno raffazzonati alla meno peggio. Ben presto però il successo commerciale dell’operazione fu tale che il genere assunse connotati e forme espressive in certo qual modo autonome, di certo totalmente disimpegnate dalla produzione cinematografica. Fu così che nel 1946 fece la sua comparsa “Sogno”, rotocalco popolare di immagini e racconti; ed in seguito comparve “Bolero” della Mondadori, con i monografici “Bolero-Film”. Ed e appunto con Bolero-film del 1948 che viene lanciato “Catene”, il primo vero feuilleton fotografico o fotoromanzo che dir si voglia e nel 1953, I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni. Fu un successo non certo inaspettato, ma certamente clamoroso. La nuova lingua per immagini e testo, i nuovi codici visivi avevano funzionato. E’ in questo clima da nascente Eldorado della comunicazione delle immagini da rotocalco che agli inizi degli anni Cinquanta del secolo scorso la Bolero pianificò una operazione che, con l’occhio dei posteri, potrebbe definirsi di business da acculturazione di massa. Fu questa l’epopea, poi ripresa e rilanciata dai teleromanzi della primavera RAI, dei grandi capolavori della letteratura. Su tutti: I Promessi Sposi e Piccolo Mondo Antico. Per la realizzazione di entrambi alla Bolero fu concentrato il massimo sforzo: i migliori fotografi, i migliori attori, decine di comparse, assistenti di scena, elettricisti, costumi sfarzosi, arredi adeguati, tutti forniti dal Teatro alla Scala di Milano; scenografie suggestive e location pertinenti quanto veritiere. Per la realizzazione di entrambi fu richiesto un notevole investimento finanziario, la realizzazione di migliaia di scatti (2.100 quelli realmente impiegati nei due fotoromanzi) e due anni di lavorazione. Il risultato fu il successo di massa: 1.200.000 copie settimanalmente esaurite in edicola nel solo anno 1953.

LA FONDAZIONE MONDADORI. Negli anni Ottanta, Bolero-Film, dopo aver narrato migliaia di storie, cessa le pubblicazioni. La redazione milanese viene chiusa ed il materiale d’archivio disperso in gran parte in depositi provvisori ed insicuri. Un lotto consistente, stoccato da prima a Verona presso i magazzini delle stamperie Mondadori, viene in seguito acquisito dalla Fondazione Arnoldo ed Alberto Mondadori, a Milano, ove per la cronica mancanza di personale rimane inarchiviato ed imballato negli scantinati. Chi scrive, insegna fotografia, cinema e comunicazione visiva presso i Laboratori Multimediali dell’Istituto Statale d’Arte di Giussano e in sovrappiù ritiene che l’educazione all’immagine passi prioritariamente oltre che dalla didattica esperienziale e dai repertori culturali delle arti e dei mestieri, anche attraverso o congiuntamente la conoscenza del proprio territorio e dei propri stilemi culturali. E’ in quest’ottica che nasce, prende corpo e successivamente si sviluppa il progetto interclasse dedicato a Manzoni. Ci eravamo proposti di ricercare, riproporre rendendo fruibile anche attraverso opere di restauro quanto in immagine, meglio se cinematografica, fosse stato importante e reperibile in merito all’opera del grande maestro nostrano. In un cinema che è sempre vissuto di lasciti altrui, che ha sempre raccolto anche dove non aveva seminato, che insomma, aveva ed ha saccheggiato la storia e la letteratura, purtroppo dovemmo constatare che il più celebre e il più noto dei romanzi italiani non occupava certo un posto di rilievo: in tutto cinque Promessi Sposi nel periodo del muto -più un Innominato- . Due soli dopo il 1930, cui si possono aggiungere almeno quattro Monache di Monza. Tutto questo materiale, almeno la parte davvero intrigante del periodo del cinema muto, mai vista da alcuno, giace ancora inaccessibile a tutti, e non restaurata, presso la Cineteca Nazionale di Roma. Inutile ogni contatto, ogni richiesta fatta, ogni tentativo d’accesso. Quei film, in attesa di finanziamenti che (mai) verranno, giacciono (e si deteriorano irreparabilmente) in Roma. Ecco allora l’idea alternativa. Non immagini cinematografiche ma foto da trattarsi come fossero vero cinema. L’idea scaturisce tutta dal caso, o per meglio dire da una ricerca casuale tra le bancarelle di un mercatino di chincaglierie d’epoca. Ecco spuntare una sola “sic!” copia di Bolero-Film 1953 con una puntata del mitico fotoromanzo de I Promessi Sposi. Perché non rintracciarle tutte e recuperarle alla storia? Perché poi non risalire alla fonte, agli originali d’epoca, ai negativi non trattati, non alterati dalla sovrimpressione del grosso retino tipografico e degli inchiostri grassi? Avvenne così che prendemmo contatto con la Casa Editrice Mondadori e dopo i chiarimenti di merito, con la Fondazione Mondadori. Calati “con la piena” e vigorose speranze in quel di Milano, fummo accolti bene e con belle parole del tipo: “… apprezzabile il vostro impegno… ecc. ecc”. Ma al dunque ci venne spiegato che: “… il personale scarso… la cronica mancanza di spazi…, la mole di lavoro…, ecc, ecc…”, non avevano consentito e per chissà quanto ancora, la classificazione ed il censimento degli enormi scatoloni ereditati da Bolero-Film. Per farci comprendere ancor meglio la situazione, ci venne mostrato il tutto: un intero locale con accatastati un centinaio e più di grosse e polverose scatole da imballo: “Questo è quanto dovreste cercare!”. “Se quanto ricercate esiste davvero, probabilmente è qui..”. Abbiate fede… date tempo al tempo..! Macché! Siamo brianzoli e non è certo l’idea di un lavoro inatteso a spaventarci; dunque, per tutta risposta ci proponemmo per un “losco affare”: avremmo organizzato uno “stage” di insegnanti ed allievi per recuperare e censire tutto il materiale. Al cambio, congiuntamente con la Fondazione, avremmo avuto accesso ed utilizzo a quanto cercavamo e/o speravamo di trovare. Fu, per tutti, una esperienza formativa entusiasmante anche se molto polverosa. In capo ad una decina di giorni, dopo aver ordinato tutto seguendo i metodi d’archivio prestabilito dalla Fondazione stessa, rintracciammo la preziosissima scatola: negativi, provinature, dialoghi, sceneggiatura. Il patto sancito poteva aver corso e continuerà di certo in futuro per altre e nuove esperienze consimili.

LA COLONNA SONORA. Da fortunati possessori seppur temporanei dell’imballo, ci mettemmo subito all’opera, classificando, suddividendo con ordine tutto il contenuto; per procedere infine alla digitalizzazione di ogni immagine al negativo. In tutto 890 negativi nel formato 6x6, scansiti in quasi due mesi di tempo lavoro scolastico. Potevamo così procedere alla realizzazione del filmfotoromanzo o fotoromanzato o qualsiasi altra cosa si voglia chiamare la nostra produzione nascente: creare cioè un video/film di sole foto. Giunti alle prime sequenze montate con ordine cronologico, ci rendemmo conto che, fondamentale alla riuscita ottimale dell’intera produzione video-narrativa, sarebbe risultata l’aggiunta una base audio: un commento sonoro estemporaneo; meglio ancora, una lettura dei testi relativi a quelle immagini mute, tolte ai quadri fotografici ed ai fumetti. Esisteva ed era disponibile una registrazione audio dei Promessi Sposi, per di più e meglio ancora in versione lariano/brianzola. La registrazione amatoriale e d’epoca (1955/56), era stata eseguita da Piero Collina, il grande poeta dialettale comasco. Affidata anni prima alla RAI dalla Famiglia Comasca, ne fu ricavata una fedele versione digitale. Con il beneplacito della stessa Famiglia Comasca, titolare dei diritti ed erede spirituale dell’opera di Collina, ci vennero concessi i 4 audio CD contenenti: 4 ore di registrazione. Troppe anche per un grande romanzo!

IL MONTAGGIO. Per prima cosa sulla time-line, il quadro video che sta alla base di ogni operazione di montaggio filmico, fu posta per intero la traccia della base audio, a partire proprio dal fatidico: “Un di de l’an mila e sescent…”, fino al velenoso commento finale del Collina. Poco sopra, una dietro l’altra, nel rispetto della progressione numerica certificata, giustapponemmo tutte le immagini ritrovate dei Promessi Sposi della Bolero Film. Stabilita la durata ottimale di quello che andava profilandosi come il nostro prodotto definitivo, in poco più, poco meno di sessanta minuti, potevamo così, nell’abbinamento suono immagine dare inizio all’operazione più ardua: verificare il contesto, trovare i nessi, le parti eventualmente mancanti, quelle eccedenti (visive e/o audio); in una parola, decidere in corso d’opera le più ottimali sovrapposizioni tra immagini e commento e gli ineluttabili tagli da operarsi sull’uno come sull’altro versante operativo. Sulla carta, a dirsi, parrebbe una operazione facile e d’ordinaria amministrazione. Tutt’altro: come restituire il senso globale dell’opera rinunciando a 700 e più immagini ed a circa tre ore di dialoghi senza alterarne il ritmo dell’opera (delle due opere), le sequenze, le atmosfere o peggio ancora recare danno alla veridicità e completezza della storia? Inutile dirlo: ci siamo mossi per tentativi nell’ottica tutta brianzola del fatidico: “ Fà e desfà l’è sempre un lavurà…”. Si è passati così da una prima serie di sequenze “rispettose”, intere, a tagli successivi sempre più importanti e massivi e lunghe ore di riaudizioni visive. Nella media ogni capitolo dell’opera manzoniana, nella nostra integrale prima versione aveva una durata media di circa 12/15 minuti. Per contenere il tutto nel format prestabilito occorreva ridurre ad una durata media di circa tre minuti: sintetiche “pillole” facilmente digeribili da qualsiasi pubblico televisivo. Con infinite serie di giustapposizioni audio/video passate allo schermo, alla fine il prodotto tanto ricercato e voluto poteva dipanarsi omogeneamente davanti ai nostri occhi in una “prima assoluta” , seppur d’aula scolastica.

testo di
Attilio Mina
54 anni, docente di Laboratorio multimediale all’Isa di Giussano.