La Samaritana di Maresso
La celebrazione della Pasqua coinvolgeva con tanta intensità i contadini brianzoli da spingerli a mettere in scena rappresentazioni popolari della morte e resurrezione di Cristo.

di Franca Pirovano
51 anni, insegnante di Lettere, si occupa di folklore.

I riti quaresimali e pasquali improntavano di sé così fortemente la religiosità popolare in Brianza da mettere in secondo piano usanze specificamente legate alla stagione primaverile: il Mistero della Passione e della Resurrezione, centrale nella teologia e nella liturgia cattolica, coinvolgeva con tale intensità i fedeli da cancellare quasi i rituali legati al ciclo solare e agricolo. Molti gesti profani nel periodo pasquale si caricano addirittura di significati religiosi: dall’insalatina all’uovo, che non mancavano su nessuna tavola di Pasqua, dall’abito nuovo alle grandi pulizie, tutto prelude e allude al rinnovamento e alla rinascita, anche spirituale.
Gli sforzi della Chiesa per far prevalere il suo tempo, liturgico, su quello precristiano, basato sul ciclo solare e stagionale, sono dunque stati coronati dal successo, almeno per il periodo pasquale: lo testimoniano ad esempio gli accenni rarissimi a superstizioni legate a tale momento dell’anno in un elenco compilato ai tempi di san Carlo; nello stesso elenco sono invece citate e condannate numerose usanze del periodo natalizio e invernale. Forse ciò è avvenuto perché chi vive da vicino il mistero del morire e rinascere della vegetazione partecipa con maggiore intensità e insieme con fede più viva al mistero del morire e risorgere di Cristo. E tuttavia va anche detto che la Chiesa ha conquistato i fedeli affiancando alla repressione dei riti paganeggianti la loro sostituzione con riti cristiani spettacolari e coinvolgenti, per esempio processioni e rievocazioni drammatiche degli avvenimenti della Settimana Santa, così diffuse fin dal Medioevo da suggerire a molti studiosi l’ipotesi che esse siano all’origine del teatro italiano. I drammi recitati durante la quaresima dimostrano sia la passione con cui il popolo rivive le pagine evangeliche, sia la libertà con cui le rielabora: ma proprio questa libertà preoccupava la Chiesa, nei secoli in cui tentava di arginare la diffusione del protestantesimo, e spiega la soppressione di molte rappresentazioni. Forse per questo non ho trovato molte testimonianze di drammatica popolare, in Brianza: eppure quelle poche sono riconducibili al periodo pasquale. Il testo che propongo mi è stato riferito da Agnese Sormani, che lo recitava a Maresso (Lecco) sessanta e più anni fa, ed era ispirato alla pagina evangelica che racconta la conversione della Samaritana (Giovanni, 4, 5-29). Protagonisti della recita erano dunque i bambini: segno probabile di scadimento di drammi un tempo recitati da adulti, come suggeriscono i confronti con altre parti d’Italia. A recitare erano due bambine vestite da Gesù (bastavano un mantello rosso e una corona di stagnola) e da Samaritana, riconoscibile dal secchiello che teneva in mano.

Era Gesù a cominciare il dialogo:
Manco manco stanco lasso / del mio lungo camminar / vedo
un pozzo vedo un sasso / per potermi riposar. / Qui mi fermo, qui aspetto / E fra poco ha da venir / Alla fonte fontanella / L’alma fide convertir. / Pecorella già smarrita / All’ovile rendo, va / E ben presto convertita / Al Signor ritornerà / Ecco giunta la meschina, / che la vien sola da sé / vieni, vieni poverina / vien, t’aspetto, vien da me.

La Samaritana continuava:
Questo punto ci mancava / Ecco lui che siede là / Io già non l’aspettavo / Di trovarsi fino a qua / Un Giudeo così strano / Che mai visto non avessi. / Lo conosco fin da qua / Questo non amico della patria / Non lo sa? vi è una rugge / Molto antica, che levarla non si può / Baderò ai fatti miei / Che al pozzo voglio andar.

La conversione finale è proclamata insieme dai due personaggi:
Giunta è pur la vostra gloria / io credo nella bontà / Se è nobile la vittoria / Tutto il ciel trionferà.

Come si può immaginare da alcuni vocaboli aulici e solenni rimasti nella memoria della mia informatrice, l’autore del testo non dovette essere un contadino; e tale origine è confermata dall’uso di recitare la Samaritana a scuola o all’oratorio, oltre che nei cortili. Ma i contadini hanno utilizzato la recita a modo loro, cioè in un modo adeguato alle loro esigenze. Quando infatti la scena veniva recitata nei cortili, le donne accoglievano e ascoltavano le piccole attrici, offrendo poi uova o qualche moneta, convinte che il gesto fosse propiziatorio: e va da sé che le uova offerte dal contadino con generosità perché abbondanti in primavera sono anche germe di vita e perciò beneauguranti. I parroci non si opponevano alla questua, nonostante i suoi aspetti magici, probabilmente perché la ritenevano efficace richiamo alla predica ascoltata in chiesa in occasione della seconda domenica di Quaresima, che è chiamata appunto “della Samaritana”.
Un’altra prova dell’appropriazione del testo da parte del popolo è la storpiatura di Samaritana in santa Maritana, assai frequente in Brianza. Come succede spesso nel linguaggio popolare, un nome che appare privo di senso è stato trasformato in uno significativo: se la Samaria è estranea alla geografia del brianzolo, la vicenda della Samaritana e la sua conversione gli sono ben noti e sembrano giustificare il nome ispirato ai tanti mariti, nonché la santificazione della donna.