La "Passione" didattica

di Attilio Mina

Ne siamo convinti: non c’è scoperta che non avvenga per caso o giù di lì. Rovistando per anni, tra il ciarpame fresco di soffitta di un mercatino di rigattieri (Limbiate), ci è capitato di imbatterci nel “caso”: emergeva da una veccia scatola da imballo, con la caratteristica sagoma brunita di un vecchio proiettore Pathé Baby. Chi ama il cinema, la sua storia, i suoi strumenti, può immaginare il tuffo al cuore provato. La macchina era in apparente buono stato di conservazione, disponeva, cosa rara ed appetibile di una confezione sigillata di cinque (oggi introvabili) lampade di ricambio e, in sovrappiù, di una invidiabile dotazione di caricatori di pellicola: nitrati negativi e pellicola positiva di varie metrature. Rapidissima la trattativa d’acquisto ed altrettanto rapido il ritorno a casa per assecondare appieno il senso tattile e visivo della scoperta. La macchina (bella davvero, perfetta e semi nuova) pareva dismessa da poco: tutto funzionava a dovere senza interventi di sorta. Più laboriosa invece la classificazione dei film. Fatte salve non poche bobine “amatoriali” che permettevano di risalire almeno “territorialmente e socialmente” al vecchio proprietario e regista: tutte gite in battello e auto sui rami del lago di Como; la rimanente parte dei film appariva storicizzata, quasi marchiata a fuoco dal ventennio fascista: parate di legionari, adunate, un muto gesticolare del Duce, documentari di propaganda e soprattutto documenti visivi, con didascalie a cartelli in spagnolo (propagandistici pur sempre) risalenti al periodo della guerra di Spagna. Da ultimo lungometraggi oratoriali, film a soggetto sacro, alcune videocassette Beta con riproduzioni di filmati Pathé, prodotti per il mercato di lingua ispanica. C’era di che fantasticare a sufficienza: quel signore che aveva posseduto il bendiddio; era quasi certamente lombardo, più probabilmente comasco o del contado, era di agiata condizione economica (anteguerra solo un borghese agiato poteva disporre di costosissimi proiettore, cinepresa, e tempo da dedicare a gite conviviali in battello e merende familiari in auto tra le colline del lago e della Brianza). I film conservati ne tracciavano l’impronta ideologica: fascista, sicuramente come tutti in quegli anni, probabilmente “combattente volontario” nella guerra civile spagnola (ove, sempre probabilmente aveva raccolto parte del materiale filmico dai resti, si suppone fumanti di qualche oratorio), per certo, convinto cattolico. Negli anni aveva coltivato la passione per il cinema dedicandosi con ogni probabilità a nuove e più aggiornate utensilerie e, soprattutto a collezionare film a tema religioso, in originale o in copia video (pur sempre rara, rarissima e introvabile, nel caso di almeno una tra quelle rinvenute).
Ammettiamolo francamente, per non consumare le preziosissime lampadine, ed evitare degrado ulteriore ai fragilissimi spezzoni di film, l’insieme del materiale l’abbiamo solo visionato sul piano luminoso, striscia per striscia, infine, riposto ordinatamente, con le avvertenze del caso, in una scatola sigillata. “Il caso”, di nuovo: anni dopo, la Cineteca Provinciale di Como chiese in visione il nostro materiale Pathé (da visionasi con un loro proiettore). Fu così che potendo assistere alla proiezione con il professor. Bertelè ed il dottor Scamoni, da subito ci rendemmo conto che le “pizze” de: La vie et la passion de NSJC, sottotitolo: Christus, epopeya Christiana, era la non censita, forse unica copia superstite della riedizione ispanica del Christus di Antamoro. Identici in tutto e per tutto i fotogrammi base, differente, ovviamente il formato (dal 35 mm al 9,5 mm), differente infine il metraggio ed il rivoluzionario rimontaggio di Zecca. Chi scrive, guarda il “caso”, insegna Cinematografia presso l’Istituto Statale d’Arte di Grafica e Comunicazione Multimediale di Giussano. Evidente come da subito prendesse corpo, l’idea di proporre come “progetto didattico” alle classi, il restauro del mai censito capolavoro. Per farlo, e farlo seriamente, occorrevano prove certe, avvalli autorevoli, documentazione adeguata che andasse ben oltre le sensazioni individuali, e la cultura dei primi fruitori della proiezione. Prima Renzo Salvi, responsabile dei programmi di RAI. 3 Educational, Tatti Sanguineti, infine Riccardo Redi (tra i più grandi esperti di cinema muto), hanno avvallato la nostra ipotesi di lavoro. Non solo, ma dall’idea iniziale del restauro di un solo filmato, si convenne di assommare lavoro a lavoro coinvolgendo un maggior numero di allievi. Ci spieghiamo con maggior chiarezza. Da un lato, disponevamo (cosa rarissima) di un originale su pellicola: Christus, in versione Paté, riadattato da Ferdinand Zecca; dall’altro, di una copia seppur mal telecinemata (riproduzione dell’originale su video cassetta) di un’altrettanto introvabile versione de: La vita e la Passione di Gesù Cristo, originale di Zecca del 1902/07, il primo in assoluto grande film a lungometraggio della cristianità cinematografata. Di questo ultimo film in Italia ne risultano ufficialmente censite quattro copie tra loro tutte differenti (rimanipolate in epoche successive, comunque inavvicinabili, per i non addetti ai lavori) presso la Cineteca Nazionale di Roma; e poche copie note, nessuna uguale all’altra, anch’esse reintegrate con spezzoni difformi (non più di 3/5, altrettanto inavvicinabili) presso archivi e collezioni private. Dunque avremmo posto in restauro sia il primo film in originale, sia il secondo, in copia unica da videocassetta.


Ma perché, un progetto didattico e soprattutto un progetto didattico così impegnativo? Innanzitutto perché chi scrive, come già detto, insegna laboratorio di Cinematografia (ripresa, montaggio…), in secondo luogo benché dalla titolarità della cattedra non sia chiaramente previsto un simile impiego del tempo di docenza, si è ritenuto non senza una punta di spudoratezza di possedere, da un lato un minimo di capacità acquisita e dall’altro che una simile tipologia lavorativa bene si confacesse alle esigenze dei nostri allievi. La didattica, di certo la nostra specifica porzione, ha come riferimento la comunicazione per l’istruzione e per l’educazione visiva; o più semplicemente l’addestramento al, perché no, lavoro futuro degli allievi. La didattica, e così la nostra in particolare, cerca di facilitare la trasmissione di concetti, nozioni, messaggi e tecnologie talora innovative. La didattica, in una parola è il contenitore. Questo contenitore è costruito con supporti opportuni, ed ogni supporto plasma le caratteristiche del contenitore didattica. E certo tra i supporti più importanti vi sono quelli che rendono possibile l’uso specifico anche delle tecnologie non ancora “omologate” dalla scuola, applicate al recupero degli antichi frammenti della comunicazione multimediale con particolare riguardo alle immagini. Essendo prevedibile che questo articolo sia letto anche da chi non frequenta le immagini fatte a macchina, e per di più quelle finalizzate ad un apprendimento didattico, diventa necessario dire alcune banalità: vi è uso quasi scientifico ed anche creativo nel restauro di una immagine o di un film; dove la fedeltà di intervento è precisione e la precisione il valore di un dato utile di una visualizzazione preziosa. Vi è un impegno documentario, conoscitivo, culturale, storico, tecnico, più genericamente visivo, nel restauro filmico: in questo senso nell’esecuzione operativa di un “progetto didattico” specifico, una sequenza ripristinata può apparire fedele e anche bella, senza che lo sforzo di fare estetica del ripristino sottragga all’informazione quel tanto di oggettivo che la rende ancora definibile come tale. Occorre sensibilità, senso della misura, cultura, abilità nell’apprendimento di nuove tecnologie, attitudine al sacrificio.
Vi è poi l’occasione di sfruttare i materiali, gli utensili ed i procedimenti per fare restauro, come e più che nel fare cinema in presa diretta. Infine, l’altro lato della questione: l’arte del restauro, come artigianato moderno, è lavoro, è occupazione, è migliore qualità degli innumerevoli prodotti che si avvalgono di una migliore artisticità laddove ne esista oggettivamente la possibilità. Da ultimo l’utensileria informatica (seppur ridotta) che negli ultimi anni abbiamo potuto disporre ben si presta alle esigenze di un trattamento a ripristino puramente conservativo e ri-comunicativo.
Per la fabbricazione delle “immagini rinate”, così come ci piace chiamarle, il mezzo chiamato genericamente informatico non solo è utile, ma dal nostro punto di vista (sappiamo bene che i curatori dei musei non concordano in ciò), è incomparabilmente il preferibile dal punto di vista economico (risparmio di tempo, lavoro, investimenti) e di una qualità particolarmente moderna dei segni intesi come materiali grafici di praticamente illimitata varietà e potenzialità. Il segno informatico inoltre, non arreca danni all’originale si sovrappone in copia simbiotica sulla riproduzione virtuale del reperto; si evidenzia e all’occorrenza si annulla, ripristinando (se usati con maestria) gli esatti valori signici dell’originale. Potevamo quindi tentare l’operazione su copia telecinemata, digitalizzando il prodotto ottenuto, certi che non avremmo recato danno di sorta al nitrato, preservandolo comunque inalterato a restauri successivi, anche “ufficiali” e, forse più professionali.
Operativamente il “progetto didattico” prevedeva fasi successive di trattamento:
&Mac183; Telecinematura dell’originale
&Mac183; Riduzione al formato video standard (VHS)
&Mac183; Digitalizzazione
&Mac183; Partizione delle scene in singoli file
&Mac183; Pulizia dei frame (frame to frame, fotogramma per fotogramma)
&Mac183; Titolatura e cartelli didascalici
&Mac183; Ri-coloritura ove se ne fosse presentata la necessità
&Mac183; Contrastatura omogenea dei file (al fine di aumentarne la leggibilità)
&Mac183; Ri-montaggio consequenziale delle sequenze
&Mac183; Giustapposizione di una base musicale
&Mac183; Rendering finale
&Mac183; Stampa di una videocassetta VHS e/o BETA
&Mac183; Salvataggio dei dati in nastro digitale



Per prima cosa il film è stato “catturato” e digitalizzato (reso compatibile con la tenologia informatica): in parole povere il segno immagine originale è stato convertito in un algoritmo a base numerica (una “centrale di comando”, cui corrisponde un sistema binario in grado di rappresentare il soggetto), per essere reso fruibile nell’apposito programma di elaborazione e montaggio film in uso nella nostra scuola (Premiere 6). Detto e fatto (poiché comunque il lavoro richiesto è stato fatto), tutto può apparire assai semplice. In realtà telecinemare qualsiasi film Pathé, oggi, non è impresa da poco. Telecinemare, cioè proiettare-e-riprendere il filmato secondo parametri stabiliti, non è cosa da poco. Quasi nessuno ad una ottantina di anni dell’abbandono totale del formato 9,5, dispone oggi dell’attrezzatura necessaria. Alcuni studi professionali interpellati grazie all’interessamento della dirigenza RAI, ci hanno provato, con risultati non ottimali: le apparecchiature tarate in automatico sui formati più attuali, “tagliavano dentro”, riducevano cioè lo spazio immagine del fotogramma, escludendo dalla copia un buon quarto della scena. Risultati perlomeno “improbabili” sono stati ottenuti con proiezione diretta su telo e contemporanea ripresa a video. Il “caso”, ancora una volta ci è stato favorevole: la conoscenza insperata di un collezionista ed amatore Pathé, provvisto di un acconcio e funzionale telecinema artigianale. Ottenuta così, non senza sofferenza, una buona riproduzione video , si è potuto procedere con facilità e normalità di prassi operativa alla sua digitalizzazione.
Si è suddiviso l’intero film in spezzoni o filotti (file) ripartiti per quadri rappresentativi e scene omogenee, ed una lunghezza mai superiore ai tre minuti di scorrimento video.
Ogni allievo ha quindi caricato nel proprio computer la propria razione di filotti di cui ne era assolutamente responsabile, nel rispetto globale di una comune tabella lavorativa: gradiente di contrastatura, parametri per una eventuale ricoloritura omogenea in seppia (La Passione di NSJC), ritocco dei singoli fotogrammi, esclusione di quelli irrecuperabili al degrado e fastidiosi alla visione, ecc.
In parallelo un altro gruppo di allievi si è preso cura dei cartelli didascalici (in lingua per La vita di NSJC, ed in spagnolo per il Christus), traducendoli al caso e riscrivendoli graficamente in un nuovo contesto. Vi è da notare a questo proposito la singolarità del formato 9,5 Pathé, detto anche “batti nove”. Le didascalie inserite in ogni film rappresentano non più di uno, massimo 2/3 fotogrammi immagine. Nello scorrere della proiezione continua, di fatto rimangono non visibili o a semplice livello di percezione subliminale. Posizionati come sono, sempre in corrispondenza dell’ultimo fotogramma a multiplo nove di ogni sequenza (d’onde il nome gergale di poco sopra), i cartelli si rendevano comunque leggibili in ragione di un particolare espediente tecnico. Un puntale meccanico del proiettore Pathé si inseriva automaticamente allo scorrere del nono fotogramma, in una apposita tacca del nitrato, bloccando lo scorrimento della pellicola giusto sull’unico cartello didascalico per il tempo necessario alla lettura del testo in proiezione. I nuovi cartelli sono stati così, inseriti tra le scene nel rispetto delle sequenze originali, con un nuovo e più appropriato tempo di lettura a scorrimento continuo. Alterato per ragioni di forza maggiore il minutaggio originale del film si è provveduto nella nuova durata a dare il seguente tempo di lettura: due secondi per la prima riga di testo, un solo secondo per ogni ulteriore riga successiva. Solo a montaggio definitivo questi tempi inizialmente rigorosi ed identici sono stati variati, in ragione soprattutto di un più armonioso fluire degli stacchi musicali della colonna sonora.
La “pulizia al frame”, autentico punto di forza dell’intera operazione è consistita nel suddividere ogni file (o almeno quelli maggiormente deteriorati) per singole scene o quadri omogenei (tanti pezzetti virtuali di film, posti l’uno accanto all’altro nel contenitore del software), non prima di averli ridotti al formato “strip” (esportabile da software a software).
A sua volta ogni singolo “strip”, tolto dalla moviola di montaggio è stato sottoposto a foto-ritocco, fotogramma dopo fotogramma, uno per uno, utilizzando le infinite potenzialità di Photo Shop: cancellatura dei graffi più evidenti (numerosissimi), rinforzo e ripristino cromatico (parziale saturazione dei neri e dei grigi), e ove possibile riquadratura delle immagini. Un lavoro quasi maniacale fatto di pazienza (tanta), di abnegazione di metodo e di più di migliaia (assommate) ore di lavorazione.
Per la partitura musicale (la base o colonna sonora) abbiamo percorso, ovviamente, strade differenti per ciascuno dei lungometraggi. Per “Christus”, così intenso e al tempo stesso così essenziale nello scorrere delle immagini, abbiamo sacrilegamente accostato e mixato tra loro brani classici cercando ove possibile di evidenziare con le tonalità musicali l’impatto delle immagini.
Una strada diversa, certamente anomala, ma per noi di particolare valore è stata quella che abbiamo scelto nella realizzazione della partitura di base de: “La Passione di NSJC”.


Nello “Speciale Brianze” vi è forse la più corretta chiave di lettura del nostro modo (criticabilissimo dal punto di vista della conservazione e ripristino integrale di un manufatto filmico) di procedere. Vediamone sinteticamente il perché.
A partire dagli anni trenta del secolo scorso, in Brianza, Alberto Airoldi, intellettuale e poeta, realizzò sulle colline di Erba un teatro all’aperto (Licinium) unico nel suo genere in Italia. Il teatro in stile neoclassico fu concepito appositamente per un unico genere di rappresentazione teatrale che raccogliesse ed assommasse in sé, antiche manifestazioni della religiosità di Brianza: “La Passione di Cristo”, opera a quadri, scritta (o trascritta da antichi incunaboli, come agli inizi venne presentata) da Airoldi e Pozzoli. C’è più di una prova che gli autori, nella stesura dell’opera si fossero ispirati al film di Zecca. Nei racconti che abbiamo raccolto in Erba, agli attori, prima della consegna dei copioni, Airoldi mostrava il film di Zecca, azionando a mano il proprio proiettore Pathé (racconto di un anziano attore: C. Magni). Le musiche (bellissime) furono commissionate ad un Maestro di gran richiamo: Gerelli. Gli spettacoli tennero cartello fino allo scoppio della guerra, con incredibile successo di pubblico, giunto da ogni dove appositamente tra quelle colline anche su espressa sollecitudine della Curia milanese. Da qualche anno, restaurato il vecchio teatro ad arena, gli spettacoli proseguono con altrettanto successo, rappresentando a pieno diritto una parte importante della antica religiosità delle genti di Brianza. Dal cassetto di un amico, il Maestro Antonello Molteni, sono emerse le registrazioni d’epoca (musica e partiture recitative) di quei primi spettacoli. La constatazione operativa che, quegli stessi brani si inserivano con facile consequenzialità tra le scene del nostro lungometraggio restaurato ha avvalorato ancor più in noi l’idea che dal film, proprio quel film, fosse scaturita prima, l’opera airoldiana; infine, cosa d’oggi, la riconsacrata tradizione brianzola della Passione. Riposizionato per intero il film sulla time-line, abbiamo quindi aggiunto la base musicale, infine nell’ultima parte (sacrilegio), alcune partiture recitative d’epoca facendo collimare le voci recitanti se non col labiale, almeno con la mimica degli attori in celluloide. Tutto questo ce ne rendiamo conto, è scorretto nei confronti di una operazione di ripristino integrale di un documento, ma, allo stesso tempo siamo orgogliosi come brianzoli di aver fuso in un unico contesto visivo e sonoro due documenti che, riteniamo a pieno diritto siano parte inscindibile della nostra cultura. Per gli altri, tutti gli altri cui ovviamente chiediamo venia, un consiglio: azzerare il livello audio del videoregistratore, ripristina di fatto la fruizione originale del film: muto.
Dopo questa lunga chiacchierata vorremmo ringraziare per primi i nostri allievi (i cui nomi compaiono, giustamente, tra i titoli d’apertura) che per un intero anno scolastico hanno “sofferto” una loro personalissima “Passione”, imprecando alla malasorte del “Progetto Didattico Speciale”. Un ringraziamento caldo ed affettuoso ad alcuni amici che ci hanno aiutato ed in parte supportati nelle ricerche e nella lavorazione: Giuliano Galbiati, Giulio Falsina, Elia Pirovano; il cui apporto al progetto vale tanto quanto il nostro.